Gian Paolo Barbieri, la bellezza come passione

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Milanese, nato in via Mazzini sopra la chiesa di San Satiro il 19 aprile 1938, Gian Paolo Barbieri respira subito moda a contatto col padre Mario, dipendente della famosa maison di tessuti Galtrucco, che oltre al senso estetico gli trasmette un'altra passione: il nuoto, praticato a livello agonistico.

Fin da giovanissimo, pur predestinato per volontà paterna agli studi di ragioneria che completerà da privatista, accompagna il padre nelle campionature, nelle prove di colore e nelle scelte di tessuti delle 4 collezioni annuali che papà Mario deve allestire prima per la 'ditta del salotto di Milano' e successivamente per la sua attività in proprio: un'esperienza fondamentale che lo segna fin da adolescente.

Malgrado la sua originaria vocazione all'arte scenica, la moda era già il suo elemento forse dalla nascita ma da giovane era arso dal sacro fuoco della recitazione che confluirà nel suo immaginario alimentando la sua vena teatrale.

Una cifra distintiva della sua poetica felliniana che ne fa un mago dell'obiettivo di rarefatta eleganza dove l'essenza è l'emozione ricreata da luci morbide, 'vecchie' e cinematografiche.

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Dopo gli studi da attore alla Scuola del Teatro Filodrammatici e i primi esordi sulla scena teatrale nelle Compagnie di Luchino Visconti e accanto a, Rina Morelli, Marcello Mastroianni, Barbieri, folgorato dalla Settima arte e dalla Hollywood sul Tevere che vagheggia con gli amici nelle cantine di casa, si trasferisce a Roma.

Qui vorrebbe coronare il sogno di diventare regista ma anche che per usare le sue parole"promette e non mantiene" perché secondo Barbieri è la culla del compromesso.

Dopo essersi lasciato alle spalle lo spleen capitolino torna a Milano dove un tessutaio svizzero di Abraham amico del padre gli apre le porte dello studio di Tom Kublin.

"Io allora non sapevo neanche che cosa fosse la moda. – ricorda oggi Barbieri - A quei tempi non c'erano i giornali di moda in Italia, ma solo piccole riviste con cartamodelli".

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E' il 1964 e il maestro che morirà di lì a poco di ictus, deve realizzare gli scatti delle ultime collezioni francesi fra cui Balenciaga e Saint Laurent.

Sono due mesi di apprendistato massacranti che però consentiranno subito dopo a Barbieri di spiccare il volo entrando nell'empireo di Condé Nast nel 1965, quando Vogue Italia nel 1965 gli affida la copertina del suo primo numero.

Seguiranno le edizioni francese, americana e tedesca. Oltre ai grandi successi professionali Barbieri si aggiudica prestigiosi riconoscimenti.

Nel 1968 gli viene conferito il premio Biancamano come migliore fotografo italiano e dieci anni dopo il magazine Stern lo inserisce nella rosa dei 14 migliori fotografi di moda a livello internazionale.

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Barbieri con le sue sontuose dimore è il primo a fare della sua professione un fatto mondano. Ed è quindi proprio nella città della Dolce Vita, suo malgrado, che il giovane Barbieri incontra due stilisti molto importanti nella sua carriera successiva di fotografo.

Due grandi antagonisti e titani del Made in Italy in incubazione in quegli anni eroici che sono gli anni Settanta, fra austerity e riflusso edonistico: Giorgio Armani e Valentino.

Tutti e tre, ancora agli inizi, condividono la passione del bello pur se con angolazioni differenti, e la voglia inarrestabile di sfondare.

Giorgio Armani lo incontra per caso negli anni Settanta nella Hall di un grande albergo della capitale in occasione di un défilé di alta moda, e rimane subito stupito dalla sua totale estraneità al cliché del fotografo divo/demiurgo della moda, pur essendo già famoso per certe campagne di Valentino, Gianni Versace e Yves Saint Laurent.

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Scrive di lui: "È riservato, schivo e caparbio; nella tecnica il suo eclettismo è fantastico, e forse per la sua teatralità gli riconoscono una grande capacità scenografica alla Cecil Beaton, ma sicuramente tecnica e sensibilità sono le sue doti principali come si conviene, del resto, a un vero grande fotografo".

Ciò è vero solo in parte, come conferma Armani: "All'inizio della sua carriera Barbieri era innamorato di un'immagine femminile d'altri tempi e di un'idea delle star che corrispondeva alle esigenze del settore che frequentava".

"Poi ha purificato il suo stile grazie a una capacità critica, a un solido senso pratico da vero lombardo e a uno humour rari in questo ambiente; il che gli ha consentito di non lasciarsi fagocitare dal potere magico della moda e del suo ego. Perché proprio come me non si è mai messo la corona in testa".

Per le sue campagne pubblicitarie dedicate alla Hitman di Cerruti Re Giorgio convince il grande fotografo, che Diana Vreeland corteggia assiduamente perché traslochi da Vogue a New York, a sopprimere il divismo delle top che gremivano il suo prestigioso studio.

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Per Valentino, in una campagna rimasta leggendaria e risalente al 1968, protagonista la magnetica Mirella Petteni, Barbieri cattura la luce misteriosa del deserto con le dune ricreate artificialmente nell'atelier di via Condotti grazie a cumuli di semolino.

La stessa scenografia Valentino riprenderà, con l'abile regia di Sergio Salerni, nel gennaio 2005 a Parigi all'École des Beaux Arts per presentare in passerella l'alta moda primavera-estate 2006.

Questo esteta puro della fotografia realizza per Valentino, assertore della triade "luxe calme et volupté", degli scatti memorabili per Vogue Italia, dove all'inizio prevale il montaggio per poi individuare una strada originale fra il linguaggio aulico di Avedon nel ritratto e i ritmi di David Bailey. Le sue silhouettes devono muoversi, vivere, danzare, quasi sospese.

La tentazione di riallacciarsi ad atmosfere da commedia sofisticata e nello stesso tempo a un'ironia per donne idealizzate come Madonne (vedi ritratti di Audrey Hepburn) è irresistibile.

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Nel 1983 nasce il famoso shooting con Simonetta Gianfelici, vestita Valentino, raffigurata come una femme fatale anni '30 molto simile alla Ingrid Bergman di 'Casablanca', di 'Io ti salverò' e alle altre muse di Hitchcock.

Barbieri lavora sempre con luci miste, non elettroniche spesso filtrate da semplici abat-jour e manipolate da soluzioni figurative ardite e inedite.

Ottiene il massimo con bank elettronici, flash sapientemente ammorbiditi e raddrizzando tutte le linee cadenti che risultavano con una ripresa dal basso con il grandangolo montato su una Hasselblad.

Gli anni Novanta segnano una svolta radicale nella moda e, soprattutto, nella vita di Barbieri. Addio lusso per l'una e set pubblicitari per l'altro.

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Trionfa il minimalismo e Barbieri che nel frattempo mette le radici definitivamente a Milano, lasciandosi ammaliare dalla natura di Polinesia, Madagascar, Tahiti e Seychelles.

Donne selvagge e Gauguin hanno il sopravvento su top model e passerelle. Il paradiso perduto viene riscoperto dal suo obiettivo e mostrato al mondo nei volumi 'Madagascar' e 'Tahiti Tattoos' prima e il 'Giardino dell'Eden' e 'Equator' poi.

Foto e opere che gli sono valse un angolo prestigioso all'interno del Victoria e Albert Museum di Londra e nel Kunsforum a Vienna.

Come i suoi nudi possenti in bianco e nero dalle suggestive vibrazioni chiaroscurali che definiscono una nuova concezione di erotismo, spinto ma elegante, nel solco di una grande tradizione che nelle opere racchiuse nel volume "Dark memories" Barbieri dimostra di saper padroneggiare magistralmente.

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Basandosi sull'assunto di Pier Paolo Pasolini che "Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo".

Il suo sguardo iperreale continua però a essere pervaso da una visione della bellezza che lo scrittore Gerry Dryansky ha efficacemente sintetizzato così:"Una cosa bella rimane bella qualunque sia la direzione in cui tira il vento".

Augusto De Angelis

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