LA CAMPANIA SBLOCCA IL CIBO DA ASPORTO, MA LA CRISI DELLA RISTORAZIONE E' ALTRO

Di Carmine Maione

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La pandemia da coronavirus oltre all'emergenza sanitaria ha creato una crisi economica globale senza precedenti. Nel nostro Paese, messo a dura prova dalle necessarie misure di distanziamento sociale adottate per contrastare l'espandersi del contagio da Covid-19, nessun settore produttivo è stato risparmiato tranne i pochissimi comparti ritenuti strategici tra cui, naturalmente, quello della grande distribuzione per garantire l'acquisto di beni di prima necessità. Tra i settori più colpiti dalla misure di contenimento messe in campo dal governo e dal susseguirsi di ordinanze regionali quello del turismo e della ristorazione sta vivendo un momento davvero drammatico. Per il solo comparto della ristorazione colpisce l'allarme lanciato dalla Fipe (Federazione italiana dei pubblici esercizi) che stima in 30 miliardi di euro le perdite e il rischio chiusura per 50mila imprese, pari a circa 300mila posti di lavoro.

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Cifre impressionanti che si sommano alle perdite dell'intero settore del turismo, quest'ultimo chiaramente legato a doppio filo al mondo della ristorazione. La sospensione di ogni attività ha prodotto una crisi non solo contingente ma anche di prospettiva e da settimane viviamo una sorta di ipnosi collettiva: la disputa tra diritto alla salute e diritto al lavoro ha trasformato i social media in un vero e proprio terreno di scontro di massa. Da Nord a Sud da settimane si discute su come avviare la fase 2 per ritornare lentamente nei luoghi di lavoro e riprendere le produzioni con la speranza di arginare gli effetti di una crisi economica che lascerà i segni per i prossimi anni. Ma dubbi e incertezze bloccano ogni decisione: il rischio dei contagi di ritorno è concreto e finché il mondo scientifico e le autorità sanitarie non saranno in grado di affermare il contrario regna il timore di commettere errori irreparabili che ci farebbero nuovamente precipitare in piena epidemia.

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Allora cosa fare? Innanzitutto bisogna avere il coraggio di dire con chiarezza che una soluzione che dia la massima sicurezza al momento non esiste e i tempi per l'atteso vaccino, unica arma per combattere un nemico invisibile, sono ancora relativamente lunghi. Il mondo della ristorazione giustamente scalpita, ma con un ritorno immediato alle attività con le modalità immaginate in questi giorni svilirebbe il significato stesso della cultura enogastronomica del nostro Paese, rischiando di ospedalizzare i luoghi della convivialità. Che senso avrebbe andare a pranzo o a cena fuori casa dovendo rinunciare alla creatività, all'ospitalità, alla convivialità, tutti aspetti fondamentali della nostra tradizione culinaria. Come ha ricordato recentemente in un video Marino Niola, professore di antropologia all'università Suor Orsola Benincasa, già Plutarco (primo secolo d. C.) scriveva "a tavola ci si siede per mangiare e bere insieme". E proprio in quell'insieme c'è la chiave di tutto. Dunque bene il delivery, il cibo da asporto, i restaurant bond per far ripartire i ristoranti con i voucher, ammesso che tutto ciò sia compatibile col conto economico.

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Ma sinceramente leggere su alcuni importanti quotidiani che qualche azienda del settore vitivinicolo ha progettato uno scanner che, nel giro di qualche secondo, è in grado di misurare la febbre ai potenziali ospiti (e non è casuale dire ospiti) di un ristorante e se la temperatura percepita è superiore ai 37,5 gradi manda un segnale acustico e luminoso non solo al cliente ma anche alla cassa del ristorante in modo da allertare il personale, mi sembra svilire quel significato di "insieme". Davanti a una ipotesi del genere crolla il valore sociale della ristorazione come momento di convivialità. Pur nel comprensibile e disperato bisogno di ripartire tutto d'un tratto si rischia di dimenticare che la ristorazione è cultura dell'ospitalità, è tradizione e cultura del territorio. Che senso avrebbe andare a cena in una trattoria, in pizzeria o in un ristorante stellato se il distanziamento necessario trasformerebbe quei luoghi in qualcosa di diverso dal vivere occasioni di convivialità, dove oltre alla qualità dei prodotti anche l'accoglienza, la creatività del luogo e quella della cucina creano la gioia e la magia del momento. La sensazione, purtroppo, è che assisteremo a un lento processo di ripristino della fiducia pesantemente intaccata dalle lunghe settimane di lockdown prima che si potrà tornare a frequentare i locali pubblici, dai ristoranti alle pizzerie ma anche stadi, palazzetti dello sport e centri commerciali, ma di sicuro presto tutto ciò accadrà.

Pubblicato da La Gazzetta Dei Sapori di giovedi 23 aprile 2020 a firma di Carmine Maione Giornalista e Presidente Associazione Oronero.

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