Il pasticcere sa fare tutto

carlo-craccoIl pensiero di Carlo Cracco nel testo Il pasticcere sa fare tutto, pubblicato come prefazione alla parte dedicata ai dessert della guida Identità Golose 2014.

Il mondo dei dessert mi affascina da sempre, e non solo perché sono golosissimo di dolci. Mi piace concepirli, svilupparli e cucinarli perché chiamano al lavoro la pancia e la testa. La gola e il cervello. Mi piacciono perché arrivano sempre in fondo al pasto, come ultimo passo di un percorso che magari ha incluso altri 10 o 12 piatti.

E quindi spingono a una sfida: devi proporre qualcosa che sia all'altezza del salato e dell'amaro, dello iodato e del ferro, del sapido e dello speziato, dell'alcolico e dell'acido. Qualcosa che dia un senso ma che allo stesso tempo non faccia a pugni con tutto quello che hai mangiato fino a lì. Proprio perché si attiva alla fine del pasto, il pasticcere è sempre stato relegato a un ruolo un po' marginale e defilato.

Ha sempre faticato a uscire da un certo isolamento perché costretto a cercare note e chiavi difficili e personali. Un caso emblematico è quello di Gualtiero Marchesi: da lui facevamo dolci buonissimi, che però avevano poco da condividere con la sua cucina. È partendo da qui che nel nostro ristorante abbiamo sempre cercato di gettare ponti tra il suo regno e quello del salato. Di introdurre note sapide nei dessert per costruire una continuità con quanto viene prima.

E per spezzare il dominio del 100% dolce, che spesso sconfina nello stucchevole. Prendi il classico babà napoletano: io lo adoro. Ma, per quanto perfetto tu lo possa preparare, presentarlo in coda a un menu degustazione molto complesso significherà dare il colpo del ko, piantarlo nello stomaco del cliente come un mattone. Arriverà sempre come un ufo alla fine del pasto.

Per questo motivo, noi il babà lo serviamo al massimo come piccola pasticceria: ne facciamo uno mini salato, da bagnare nel sugo di carne, servito con del midollo. Che poi è la stessa logica per cui capita di inserire per esempio dei capperi nel dessert. O anche degli ortaggi, come succede ai carciofi alla liquirizia accanto al gelato al croccante di nocciole. Credo però che il dessert più completo che abbiamo mai realizzato sia la Crocchetta di cioccolato, chinotto e caviale: il dolce e il salato stanno in perfetto equilibrio con l'alcol, il cioccolato, l'impanatura, il liquido e il croccante. Un mosaico di tasselli che si incastrano alla perfezione.

E se la nota salata deve farsi sentire nel dessert, è interessante anche far accadere il contrario: aggiungere note dolci al menu salato. Ma qui non scopriamo nulla perché la logica (un poco ruffiana) che c'è dietro a piatti come i ravioli di zucca con l'amaretto, l'anatra all'arancia o la cipolla caramellata ha origini romane. E in Asia per esempio è un'usanza molto diffusa da sempre.

Per tutti questi motivi, è fondamentale che il pasticcere da ristorazione diventi parte attiva e integrante della cucina in ogni suo aspetto. Non deve confinarsi dietro a un muro, come spesso succede nelle cucine dell'alta ristorazione, con il laboratorio della pasticceria che è quasi sempre separata anche fisicamente da tutto il resto.

Allo stesso tempo, un grande cuoco deve saper governare la temperatura, l'umidità, la forza proprio come fa un grande pasticcere. Deve sapere fare tutto come Pierre Hermè, un sommo pasticcere ma anche un grandissimo cuoco salato. O come Michel Bras, uno chef immenso che però ha fatto scuola nel mondo col Tortino di cioccolato col cuore caldo. Un grande pasticcere deve capire, interpretare e giudicare senza escludere alcuna ipotesi. Diventare cuoco di tutto.

Carlo Cracco

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