BERGAMO, LA FAMIGLIA CEREA PREPARA I PASTI PER IL NUOVO OSPEDALE DA CAMPO

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«Stanno arrivando montagne di alimenti, una cosa incredibile, pazzesca. In questo momento dobbiamo persino rallentare il ritmo delle donazioni perché anche questa situazione va gestita bene, dobbiamo organizzare tutta la logistica, ed è proprio quello che stiamo pianificando in queste ore... Ma registriamo invii di ogni cosa e da ogni dove: offerte dal Qatar, da Israele, dal Giappone...». È passata una settimana da quando Chicco Cerea e la sua famiglia si erano offerti di realizzare gratuitamente, con il loro team del Gruppo Da Vittorio Vicook, tutti i pasti, dalla prima colazione alla cena, necessari sia per i pazienti che per il personale impiegato nel nuovo ospedale da campo dell'Associazione Nazionale Alpini in via di realizzazione, all'interno della Fiera di Bergamo, padiglione B, per far fronte alla tremenda emergenza Coronavirus, particolarmente grave nella Bergamasca.

Sette giorni più tardi, e dopo qualche stop and go, manca poco al via libera: è terminata la posa della pavimentazione, 6.500 metri quadri di linoleum, ora si procederà alla realizzazione di pareti, porte, soffitti, impianti, tra cataste di pannelli e tende; decine di fabbri, falegnami, stuccatori e imbianchini e molti altri artigiani si sono proposti per dare una mano. Presto - all'inizio della prossima settimana - quella che sarà la più grande struttura nel suo genere in Europa dovrebbe essere pronta a ospitare 160 posti letti (ma i numeri cambiano quasi di ora in ora) per malati di Covid-19. A gestire il reparto di Terapia intensiva e sub-intensiva - 12-14 postazioni per la prima, 24 nella seconda - dovrebbe essere un'equipe di medici di Emergency, una ventina di persone, con l'aiuto anche di colleghi arrivati dalla Russia.

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Chicco Cerea aveva spiegato, giorni fa: «Siamo pronti a dare la nostra piena collaborazione. Con i ragazzi del team ci siamo offerti di poter cucinare per il personale sanitario, i pazienti, gli ausiliari, ma abbiamo bisogno di materie prime. Chiediamo sostegno e solidarietà a tutti coloro che hanno la possibilità di fornirne, dai ristoratori ai titolari di negozi o aziende di generi alimentari o affini: vi prego, aiutateci. Servono frutta, verdura, pane e latticini... Cucineremo per i nostri eroi. Per loro sentiamo la necessità di realizzare con urgenza una colletta alimentare che permetta di avere a disposizione anche scatolame e surgelati da utilizzare nella preparazione dei piatti. Mi hanno già annunciato scorte di baccalà, arancini e salsa di pomodoro dalla Sicilia, ravioli del plin. Tutto verrà stipato in apposite celle, suddiviso per categorie merceologiche e utilizzato con criterio così da evitare deperimenti e, quindi, sprechi. Ci stiamo organizzando per ottimizzare gli sforzi e i sacrifici di tutti. Vi prego, aiutateci. Solo insieme possiamo farcela».

Come vi preparate ad affrontare il vostro compito all'interno dell'ospedale da campo? «Noi saremo una quindicina, tra operativi e supporto in ufficio. Inizieremo lunedì o martedì, in questo momento ci sono ancora gli operai al lavoro». Per quante persone cucinerete? All'inizio si era parlato di 500, che moltiplicate per i tre pasti giornalieri significa 1.500 tra colazioni, pranzi e cene... «Non sappiamo nulla con precisione. Di certo avremo circa 100 addetti tra personale medico, infermieri e ausiliari, quindi 150 pasti. Poi 60-70 di malati, secondo le ultime informazioni. Ma nessuno sa dire qualcosa di sicuro, navighiamo un po' a vista». «Medici e pazienti avranno linee diverse. Il concetto di fondo è che non è possibile allestire un self service classico ma dobbiamo organizzare tutta la filiera in modalità monouso. I protocolli di sicurezza sono molto rigidi e dovremo anche gestire le diete particolari destinate agli ammalati».

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Tutt'altro che improvvisata è invece l'organizzazione che i Cerea si stanno dando, «è la difficoltà più grande», d'altra parte sono abituati al fine dining del Da Vittorio ma anche ai grandi numeri, tra catering stellari e mense scolastiche e aziendali, da Gucci a Pomellato a Intercos. Un know how unico in Italia, che consente loro di aver le idee chiare sul da farsi: «Medici e pazienti avranno linee diverse. Il concetto di fondo è che non è possibile allestire un self service classico ma dobbiamo organizzare tutta la filiera in modalità monouso, da quando arriva la merce, allo stoccaggio, quindi a lavorazioni, cotture e uscite sul banco. L'operatore prepara il piatto, il medico si siede (da solo, in tavoli da quattro) e mangia, alla fine lui stesso dovrà buttare via le cose, perché il protocollo di sicurezza è molto rigido». Lo stesso vale per le colazioni al mattino: ci sarà la disponibilità di caffè e cappuccino in bicchieri monouso, di brioche imbustate, poi anche marmellata, miele e muesli e quant'altro, ma tutto allestito in sicurezza, «con mascherine e guanti».

Persino più complessa la gestione dei pasti per i pazienti, «ci serviremo di contenitori polibox per mantenere la temperatura dei piatti. E avremo anche menu personalizzati, in base alle esigenze, perché ci hanno già informato come molti malati abbisognino di diete particolari, gluten free eccetera». Non è semplice. Per questo, è roba da Cerea.

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A cura di Carlo Passera, Coordinatore della Redazione di identitagolose.it  

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