Kartell, sua Maestà la plastica

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Grande protagonista, in diverse collezioni di design italiano apprezzatissime all'estero, la plastica. Kartell, che la sfrutta e la rielabora da tempo, adesso sperimenta formati maxi, grazie all'utilizzo di nuove tecnologie nella stampa a iniezione del suo più celebre materiale cult, il policarbonato trasparente.

Trenta chili in un blocco unico fanno del divano Uncle Jack un record mondiale, che si aggiunge alle leggendarie sedute Aunts&Uncles di Philippe Starck.

Ha fatto da apripista a un mondo di ricercate trasparenze di successo La Marie, sedia messa in produzione nel 1999, che ne pesava poco più di 3. Seguita dai masterpieces Louis Ghost (4,5 kg), il mobiletto Ghost Buster (18 kg), il tavolo Invisible di Tokujiin Yoshioka (21 kg), venduti in milioni di esemplari.

Se da un lato si fa grande, dall'altro la materia prima dagli umili natali diventa "Precious": esclusiva e sofisticata in versione metal con finiture oro, platino, argento e bronzo a esaltare il lato glam di alcuni dei best seller: Masters, Componibili, Jelly, Dune, Shanghai, Matelassé presentati al Salone del Mobile scintillanti come mai.

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E s'ispira ai maestri soffiatori Tokujiin Yoshioka, che osa con una riuscita trasposizione sintetica del nobile vetro di Murano per la nuova linea di sgabelli e tavolini Sparkle.

Mentre sulla scia della food-mania, ecco arrivare puntuale una collezione dedicata alla tavola, nata dalla collaborazione tra top designer e grandi chef: Patricia Urquiola, Jean-Marie Massaud e Philippe Starck all'estetica, Andrea Berton, Carlo Cracco e Davide Oldani stellati garanti della migliore funzionalità.

La storia di Kartell ha inizio nel 1949, quando Giulio Castelli, ingegnere chimico, dà il via a una produzione di casalinghi e accessori per auto in plastica.

Nel 1950, il lancio del primo prodotto, un portasci ideato da Carlo Barassi e Roberto Menghi e realizzato in collaborazione con Pirelli.

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In Italia il design vive il suo periodo d'oro negli anni 60; ma la consacrazione definitiva del marchio arriva nel 1972 quando, in occasione di una mostra dedicata al made in italy, Kartell presenta al MoMA di New York alcuni pezzi disegnati da Aulenti, Sottsass, Zanuso e Sapper, che fanno tuttora parte della collezione permanente del museo.

Dal 1988, a sostenere e rilanciare la filosofia del brand, in prima linea c'è Claudio Luti, genero del fondatore. Grande comunicatore, creativo, outsider, una lunga gavetta nella maison Versace, ha fatto del fattore K l'ingrediente di successo per tante start up che guardano al futuro. Naturalmente plastico.

Alessia Bellan

 

IL SUCCESSO

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Giulio Castelli, nato a Milano nel 1920, ha legato il proprio nome a Kartell. Allievo del Nobel per la chimica Giulio Natta, si laurea in ingegneria chimica nel 1949.

Nello stesso anno fonda la Kartell, chiamando a collaborare, tra gli altri, i fratelli Castiglioni, Gae Aulenti, Joe Colombo, Marco Zanuso, Richard Sapper. Dal 1979, accanto all'attività produttiva, nasce il Centrokappa con G. Colombini e A. Castelli Ferrieri.

«Io voglio ricordare, forse la gente si dimentica, ma la punta di diamante del Made in Italy, prima della moda, prima del food, è stato proprio il design. Perché negli anni '70 quando abbiamo fatto la famosa mostra a New York, organizzata da Ambasz al Moma, la moda non c'era ancora in Italia».

«Non si usava andare al ristorante e vedere anziché il burro come si vede a New York che ti danno il piattino con l'olio. Prima del fenomeno moda e del fenomeno food, è stato proprio il design italiano ad andare all'estero».

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«Il successo del design italiano è dovuta anche agli imprenditori che hanno, secondo me, una preparazione culturale migliore degli imprenditori stranieri; che non guardano forse immediatamente a un ritorno sul rischio che c'è sempre quando incominci a fare un prodotto».

«Siamo molti bravi, proprio forse per questa tradizione artigianale che abbiamo dietro, questo know-how, siamo capaci proprio di fare i prototipi. ma questo è un merito, perché è facendo tanti prototipi che riesci poi a scegliere e a vedere quello che va meglio».

(Giulio Castelli)

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